Cronaca

Studio campano modifica le linee guida post-angioplastica: terapia antiaggregante più efficace se personalizzata

Latina morto operazione cuore
Immagine di repertorio
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Un team di ricerca campano ha condotto uno studio che potrebbe cambiare in modo significativo lo standard terapeutico dei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica. Il progetto, denominato PARTHENOPE, è stato coordinato dal professor Giovanni Esposito, direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II e presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia della stessa Università. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology e discussi al recente congresso dell’European Society of Cardiology (ESC), svoltosi a Madrid.

Studio campano modifica le linee guida post-angioplastica

Lo studio ha analizzato l’efficacia della terapia antiaggregante doppia (DAPT), trattamento farmacologico che combina aspirina e un inibitore del recettore P2Y12. La DAPT viene prescritta ai pazienti che hanno subito angioplastica coronarica per prevenire la formazione di trombi che potrebbero ostruire nuovamente le arterie. La prassi clinica prevede una durata standard di 12 mesi per tutti i pazienti, indipendentemente dalle condizioni cliniche.

I ricercatori hanno coinvolto oltre 2.100 pazienti, confrontando la strategia tradizionale con un approccio personalizzato, in cui la durata della terapia veniva adattata in base al cosiddetto “punteggio DAPT” e alla presentazione clinica del paziente, distinguendo tra sindrome coronarica acuta o cronica. Il punteggio DAPT è uno strumento clinico che misura il rapporto rischio-beneficio di prolungare la terapia oltre l’anno canonico.

Secondo i dati raccolti, l’approccio personalizzato ha ridotto del 20% il rischio di eventi clinici avversi netti (NACE), categoria che comprende morte, infarto miocardico, ictus o gravi episodi emorragici. Il principale beneficio è stato riscontrato nella diminuzione dei casi di infarto e nella necessità di rivascolarizzazioni urgenti, senza incremento significativo del rischio di sanguinamenti.

Il professor Esposito ha sottolineato che i risultati “mettono in discussione l’uniformità delle cure, dimostrando come una terapia modulata sul singolo paziente possa garantire maggiore efficacia”. A presentare i dati al congresso ESC è stato il professor Raffaele Piccolo, responsabile del Programma di Trattamento percutaneo della malattia coronarica e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università Federico II.

Lo studio rappresenta il primo trial randomizzato a livello internazionale che confronta direttamente la terapia standard di 12 mesi con un protocollo personalizzato, rafforzando l’ipotesi di una medicina cardiologica sempre più su misura.

La direttrice generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Elvira Bianco, ha evidenziato come “questo risultato testimoni il valore della sinergia tra assistenza, formazione e ricerca, permettendo di offrire cure avanzate e produrre evidenze scientifiche di alto livello a beneficio della comunità”.

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