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“Febbre dell’oro nero”: 34 condanne e confisca milionaria, ma cade l’accusa di associazione mafiosa

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Il blitz delle forze dell'ordine

Processo “Febbre dell’oro nero” nel Vallo di Diano: 34 condanne e confisca di beni per 14,4 milioni di euro. Cade l’accusa di mafia. Frodi fiscali, riciclaggio e contrabbando di carburanti al centro dell’inchiesta. Lo riporta InfoCilento.

Vallo di diano, processo “Febbre dell’oro nero”: 34 condanne, confisca di beni per 14 milioni

Si è chiuso con 34 condanne il processo di primo grado denominato “Febbre dell’oro nero”, nato da un’inchiesta avviata nell’aprile 2021 grazie a un’operazione congiunta di Guardia di Finanza e Carabinieri. Al centro del procedimento, celebrato presso il Tribunale di Lagonegro, un vasto sistema di frodi fiscali e contrabbando di idrocarburi che coinvolgeva imprenditori e soggetti collegati alla criminalità organizzata attiva tra Caserta, il Vallo di Diano e la Puglia. Lunga la camera di consiglio, terminata a mezzanotte: il collegio giudicante ha disposto anche la confisca di beni per oltre 14,4 milioni di euro, tra denaro, impianti di distribuzione, depositi commerciali e automezzi, già sequestrati in via preventiva nel 2021.

Le accuse e le assoluzioni

Le imputazioni principali hanno riguardato frodi IVA e accise, riciclaggio, autoriciclaggio, intestazioni fittizie e impiego di capitali illeciti. È invece caduta l’accusa di associazione mafiosa, una delle contestazioni più pesanti formulate inizialmente. Numerosi imputati sono stati assolti, in particolare diversi acquirenti di gasolio di contrabbando, ritenuti non parte attiva del meccanismo illecito ma semplici clienti.

I protagonisti del processo

Tra i condannati spiccano Raffaele Diana e il figlio Giuseppe, entrambi a 9 anni di reclusione, oltre a un imprenditore pollese del settore carburanti che in pochi anni aveva visto crescere il proprio fatturato da zero a oltre 15 milioni di euro. Secondo la Procura, il sistema era alimentato da fondi provenienti da spaccio ed estorsioni, riconducibili a esponenti dei casalesi e della mafia tarantina, con basi operative anche nel Vallo di Diano. Nonostante la caduta del vincolo mafioso, il caso rimane emblematico per comprendere l’intreccio tra economia e criminalità organizzata. Ora si attende l’Appello, dove proprio la questione della sussistenza dell’aggravante mafiosa tornerà al centro del dibattito giudiziario.

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