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Inchiesta Kamarathon, depositate le motivazioni della sentenza: “Gestione para-privatistica e logiche clientelari”

Kamarathon
Foto di repertorio

A cinque mesi dalla sentenza, il Tribunale ha depositato le motivazioni relative al procedimento giudiziario noto come Kamarathon, che ha portato a condanne pesanti per l’ex sindaco di Camerota, Antonio Romano, e per diversi amministratori e funzionari comunali. Un documento di 257 pagine ricostruisce nel dettaglio una gestione amministrativa definita dai giudici come “para-privatistica”, caratterizzata da scelte sistematicamente orientate alla soddisfazione di interessi privati e clientelari piuttosto che al perseguimento del bene pubblico come riportato dal quotidiano Il Mattino oggi in edicola.

Inchiesta Kamarathon, depositate le motivazioni della sentenza

Secondo quanto evidenziato nelle motivazioni, l’amministrazione Romano avrebbe operato secondo logiche distorte, alimentate da un rapporto diretto e utilitaristico con l’elettorato. Al centro dell’indagine – avviata dalla procura in seguito a presunte irregolarità nella gestione della Tosap (la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) – vi è un sistema opaco in cui le risorse pubbliche sarebbero state impiegate per finalità estranee alla pubblica amministrazione: dal finanziamento di missioni politiche alla copertura di spese personali, fino all’ottenimento di benefici privati.

Durante il processo, le difese avevano sollevato eccezioni sull’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, richiamando una sentenza a Sezioni Unite della Cassazione in merito all’uso delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per cui erano state autorizzate. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto irrilevante la questione nel merito, specificando che le registrazioni si riferivano a reati prescritti, depennalizzati (come l’abuso d’ufficio) o improcedibili in assenza di querela.

Le intercettazioni, definite una “miniera di commenti”, offrono uno spaccato del linguaggio e del modus operandi degli imputati, capaci di descrivere il Comune come una “troccolata” – termine dialettale utilizzato per indicare un disordine sistemico – e di riconoscere, con espressioni esplicite, il carattere illecito e consapevole delle condotte poste in essere.

Fra gli episodi considerati più gravi dai magistrati, emergono l’utilizzo improprio dei fondi Tosap, favoritismi nella gestione dei parcheggi pubblici, sponsorizzazioni fittizie e l’assegnazione sistematica degli appalti a cooperative legate a esponenti dell’amministrazione o a loro familiari. Le società partecipate del Comune, in particolare La Calanca s.r.l. e Marina Leon di Caprera s.r.l., sarebbero state adoperate come strumenti finanziari per coprire spese personali o premiare elettori fidati, diventando di fatto “bancomat” a disposizione di una ristretta cerchia di amministratori.

Un passaggio centrale delle motivazioni riguarda il principio dello scambio politico-amministrativo: fedeltà in cambio di favori. I giudici sottolineano come alcuni assessori minacciassero di far cadere la giunta qualora non ottenessero incarichi specifici. È il caso, ad esempio, dell’assessore Rosario Abbate, che avrebbe condizionato il proprio sostegno alla concessione della delega al settore cimiteriale, dal quale traeva vantaggi diretti. Altro episodio emblematico riguarda l’ex assessore Michele Del Duca, che avrebbe garantito lavori per 50mila euro a un imprenditore privo del Durc (Documento unico di regolarità contributiva), in cambio del mantenimento del silenzio e della lealtà politica.

Camerota

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