Scontro aperto sulle candidature alle elezioni regionali dei sindaci. In Campania resta l’obbligo di dimissioni: scende solo il termine da 90 a 60 giorni. Ma i sindaci protestano: «È incandidabilità mascherata». Lo riporta l’odierna edizione del Mattino. L’Anci attacca: «Vulnus democratico». Il caso finisce alla Consulta.
Regionali, scontro aperto sulle candidature dei sindaci
Una riduzione che sa di beffa. Il Consiglio regionale della Campania ha approvato a maggioranza la modifica alla legge elettorale che fissa in 60 giorni – invece degli iniziali 90 – il termine entro il quale i sindaci devono dimettersi per candidarsi alle prossime elezioni regionali. Una correzione minima, che non smorza l’ondata di polemiche né placa la protesta dell’Anci Campania, che definisce il provvedimento un “grave vulnus democratico”.
La tensione è alta. I sindaci, soprattutto quelli dei piccoli comuni, denunciano una norma che penalizza i territori e mina la rappresentanza locale. E intanto si attende la pronuncia della Corte Costituzionale – attesa per il prossimo 9 luglio – su una legge analoga della Regione Puglia, che potrebbe avere effetti diretti anche in Campania.
Il contesto: da novembre a oggi
Tutto parte a novembre, quando la maggioranza in Consiglio regionale approva una norma che fissa l’ineleggibilità dei sindaci se non si dimettono entro 90 giorni dal voto, estendendola anche ai comuni con meno di 5mila abitanti, fino ad allora esentati. Una stretta significativa, approvata nella stessa seduta che tentava anche – senza successo – di introdurre il terzo mandato per Vincenzo De Luca, poi bocciato dalla Consulta.
Da allora, i sindaci si mobilitano. La scorsa settimana l’Anci ha chiesto l’intervento del Viminale, parlando di «discriminazione ingiustificata» e «lesione al diritto di partecipazione politica». Ma il Consiglio regionale non fa marcia indietro: approva soltanto una riduzione tecnica del termine, portandolo a 60 giorni, con 27 voti favorevoli, 9 contrari e 3 astenuti.
La protesta bipartisan
Le reazioni non si fanno attendere. Raffaele Maria Pisacane (Fratelli d’Italia) denuncia: «Mandiamo a morire intere comunità che resteranno senza guida». Severino Nappi (Lega) parla di «ennesima norma elettoralistica». E in aula scoppia la polemica quando Nunzio Carpentieri (Fdi) chiama in causa direttamente il presidente De Luca, ricordando la sua nomina a viceministro nel 2013 quando era ancora sindaco di Salerno. De Luca prende la parola e replica seccamente: «È falso. Non ricevetti mai le deleghe. Scelsi io di restare sindaco».
Pisani (Anci): «Norma che umilia i territori»
Tra i più duri, Stefano Pisani, sindaco di Pollica-Acciaroli e coordinatore dei piccoli comuni per Anci Campania: «Questa legge svuota la democrazia nei territori e blocca la crescita della classe dirigente. La legge nazionale consente ai sindaci dei comuni sotto i 20mila abitanti di candidarsi. La Campania invece li blocca prima ancora di potersi presentare». Pisani sottolinea che non si tratta solo di ineleggibilità, ma addirittura di incandidabilità, una differenza che potrebbe pesare davanti alla Corte Costituzionale.
La sua preoccupazione è condivisa da molti: «Che faremo se decine di sindaci vorranno candidarsi? Commissariamo tutti i municipi? La politica sta trattando i sindaci come nemici. E in Campania, come in Puglia, il trattamento è il peggiore d’Italia».
L’attesa per la Consulta
Ora la partita si sposta su un altro piano. La decisione della Corte Costituzionale, attesa per il 9 luglio, potrebbe far crollare l’impianto normativo pugliese e, a cascata, quello campano. Intanto, però, i sindaci che vogliono partecipare alla corsa per le regionali del 23 novembre dovranno decidere in fretta: il termine ultimo per le dimissioni è fissato al 21 settembre. Una corsa contro il tempo che rischia di svuotare la partecipazione e tagliare fuori proprio chi è più vicino ai cittadini.