Nascondere cocaina nei chicchi di caffè o all’interno delle cialde: era questa l’idea studiata dal clan Fezza-De Vivo per introdurre in Italia ingenti quantità di stupefacente da distribuire nell’Agro nocerino e in altre aree del Paese. È quanto emerge da una recente ordinanza della Direzione distrettuale antimafia, basata sulle intercettazioni di telefoni criptati, che contesta agli indagati l’associazione finalizzata al traffico internazionale di droga come riportato dal quotidiano Il Mattino oggi in edicola.
Droga nascosta nel caffè, le nuove strategie del clan Fezza-De Vivo
Secondo gli inquirenti, l’organizzazione sarebbe passata dal controllo delle piazze locali – come già evidenziato nella prima indagine del 2022 – a contatti diretti con fornitori sudamericani e calabresi. In particolare, dalle conversazioni risulta la possibilità di acquistare cocaina a 7.500 euro al chilo, occultata in confezioni di caffè e successivamente resa pronta al consumo grazie all’intervento di un chimico messo a disposizione dai fornitori.
Il progetto prevedeva anche l’acquisizione di una ditta di torrefazione da utilizzare come base logistica per far arrivare i carichi. Tra il 2020 e il 2021 sono stati registrati diversi episodi riconducibili al clan. In Spagna, ad esempio, Francesco Pecoraro fu arrestato dalla Guardia Civil con 58 chili di marijuana. In un’altra occasione, Giuseppe De Vivo discute con Francesco Fezza delle perdite subite in quell’operazione, sottolineando come parte del capitale fosse al sicuro.
Per la marijuana, Giuseppe D’Auria riferisce di avere “due contatti di alto livello”, mentre per l’hashish risultano stoccati 40 chili non ancora venduti. Le indagini dimostrano come il gruppo fosse in grado di reperire droga all’estero grazie a intermediari esterni alla struttura mafiosa, ma funzionali all’organizzazione di Pagani.
Gli episodi contestati
In un caso viene intercettata la trattativa per il trasporto di 300 chili di hashish affidata a un autotrasportatore. Nel novembre 2020, invece, De Vivo viene ripreso mentre contratta con un esponente calabrese per 100 chili di hashish a circa 4 euro al chilo, con pagamento previsto a Panama tramite un intermediario indicato come “il cinese”.
Le attività del clan non si limitavano al territorio salernitano. In un episodio, documentato dall’Antimafia, un acquirente di Casal di Principe si mostra interessato a 6 chili di hashish per 45mila euro. In quell’occasione, il trasporto doveva essere gestito con staffette per monitorare la presenza delle forze dell’ordine.
Il 17 novembre 2020, gli investigatori rilevano che il sodalizio era riuscito a vendere 100 chili di droga in appena un mese, con profitti considerevoli. Accanto al gruppo principale, emerge inoltre la presenza di un secondo nucleo guidato da Antonio D’Auria Petrosino e da altri affiliati, attivi nella distribuzione per conto del clan.