Da Il Mattino emergono gli sviluppi giudiziari sul caso dell’omicidio di Giuseppe Di Giorgio, la lupara bianca dell’11 gennaio 1991 attribuita agli esponenti del cartello malavitoso della Piana del Sele. Il gup del Tribunale di Salerno, Giandomenico D’Agostino, ha disposto il proscioglimento di Alfonso Pecoraro, 63 anni, ritenuto all’epoca uno dei capi del gruppo criminale e figura di vertice di una delle organizzazioni più violente del territorio.
Il provvedimento arriva a seguito della perizia psichiatrica richiesta dal suo difensore, l’avvocato Raffaele Francese, che ha concluso per la totale incapacità di intendere e volere dell’imputato. Il giudice ha quindi dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale nei suoi confronti per vizio totale di mente.
Omicidio Di Giorgio, Pecoraro prosciolto totale incapacità di intendere e volere
Il procedimento prosegue invece per gli altri cinque imputati: Pasquale Renna, considerato anch’egli a capo del cartello, il collaboratore di giustizia Francesco Schipani, il reo confesso Francesco Pecoraro e gli stabiesi Fernando Cesarano e Maurizio Procida. Nel corso dell’ultima udienza, le pm Maria Benincasa e Bianca Rinaldi hanno formulato le richieste di condanna: 8 anni per Schipani, 14 anni per Francesco Pecoraro, 18 anni ciascuno per Renna, Cesarano e Procida. Il collegio difensivo, composto oltre che da Francese dagli avvocati Giuseppe Russo, Eliana Zecca, Piera Rubano e Andrea Ruggiero, esporrà le arringhe nelle prossime udienze, al termine delle quali è attesa la sentenza.
La ricostruzione dell’omicidio colloca il sequestro di Di Giorgio all’uscita della fabbrica di Battipaglia in cui lavorava. L’uomo aveva ottenuto il permesso dei giudici di allontanarsi da casa per motivi lavorativi. Secondo gli atti, si trattò di una vendetta per l’uccisione, nel 1988, di Giovanni Pecoraro, fratello maggiore di Alfonso e Francesco, fatto per il quale Di Giorgio era ritenuto uno dei partecipanti. L’operaio bellizzese, 50 anni, venne condotto in un casolare abbandonato a Olevano sul Tusciano, legato a una sedia e sottoposto a violenze prolungate. Il collaboratore Schipani ha descritto torture con bruciature di sigaretta, colpi alla testa e alle ginocchia, oltre all’uso del calcio di una pistola.
La buca destinata a eliminarne il corpo sarebbe stata scavata il giorno precedente. Di Giorgio, secondo quanto ricostruito, era ancora vivo quando venne gettato all’interno e fu ucciso mediante strangolamento con una corda e colpi alla testa con un piccone. Il cadavere fu infine seppellito nel tentativo di cancellare ogni traccia. Le indagini, allora condotte dai carabinieri della compagnia di Battipaglia, riportarono alla luce la dinamica solo molti anni dopo, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori. Ora il processo si avvia alla fase conclusiva per gli imputati ancora a giudizio.
