Un giro di affari spietato e illegale si sviluppava all’interno degli uffici del distretto 24 della Asl Napoli 1, a via Chiatamone. In questo contesto, il cinismo regnava sovrano, coinvolgendo non solo i medici, ma anche i dipendenti comunali e gli impresari funebri che avevano costruito un business crudele sulla morte. Un’organizzazione criminale ben strutturata, in cui ogni membro svolgeva un ruolo preciso e lucrava grazie ai certificati di morte e ai permessi per gli invalidi.
Lady sanità, le frasi choc
Dopo la denuncia del direttore generale della Asl, Ciro Verdoliva, i carabinieri del Nas hanno avviato un’inchiesta, portando a una serie di arresti e misure cautelari. Tra i coinvolti, figurano quattro medici (di cui tre finiti in carcere e uno agli arresti domiciliari), numerosi titolari di pompe funebri e diversi impiegati comunali dell’Ufficio di stato civile. Le indagini, condotte dal procuratore aggiunto di Napoli, Sergio Amato, hanno fatto affidamento principalmente su intercettazioni telefoniche e ambientali.
Uno degli episodi chiave è quello che vede coinvolta la dottoressa Margherita Tartaglia, che oltre ad assentarsi ingiustificatamente dal lavoro, condivideva i proventi derivanti dalla stesura di certificati necroscopici falsificati con altri medici. In una delle intercettazioni, la dottoressa si lamenta con il collega Luigi Rinaldi: “Gigi, sta morendo poca gente”.
A questa osservazione, Rinaldi risponde: “Non fanno morti, abbiamo perso un mare di soldi!”. In altre conversazioni, si discute di un sistema illecito in cui i medici e gli impresari funebri si scambiavano denaro e favori per accelerare il rilascio dei certificati di morte e dei permessi per il trasporto delle salme. La Tartaglia racconta di alcuni imprenditori funebri che, al posto del denaro, le offrivano doni come caffè o tonno.
In alcuni momenti, gli arrestati hanno mostrato segni di preoccupazione per l’indagine in corso, sospettando di essere intercettati. In una chat, Rinaldi consiglia ai colleghi e agli impresari funebri di usare piattaforme più sicure, come WhatsApp o Telegram, per evitare di essere sorpresi. Tuttavia, questa conversazione è stata comunque captata grazie a una microspia nascosta dagli investigatori nello studio del medico.
Gli inquirenti hanno acquisito anche video che documentano il passaggio di denaro tra gli impresari funebri e i professionisti coinvolti. Le immagini mostrano una realtà desolante, con scene che testimoniano la crudeltà del sistema.
L’organizzazione
Il gip Fabio Provvisier, nel corso dell’inchiesta, ha osservato che i membri dell’organizzazione criminale hanno attuato strategie sistematiche per ostacolare le indagini, manomettendo i dispositivi di videoregistrazione e cercando di nascondere le prove.
Le tariffe applicate per i certificati erano stabilite in modo preciso. Ad esempio, un certificato senza cremazione costava 50 euro, mentre con la cremazione arrivava a 70 euro. In una conversazione con l’impresario Maurizio Petriccione, Rinaldi conferma l’aumento delle tariffe, spiegando che la cremazione era stata portata a 70 euro per “differenziarsi” dagli altri colleghi che non la effettuavano per paura.
L’accusa sostiene che questa pratica illecita, basata sullo sfruttamento del “caro estinto”, sia andata avanti per anni, con guadagni consistenti per tutti i coinvolti. Tra i beneficiari del sistema ci sono anche i dipendenti comunali infedeli, che violavano le normative rilasciando permessi irregolari per il trasporto e la cremazione delle salme, basandosi su certificati medici falsi. Un medico arrestato, sfruttando la domenica, giorno di chiusura dell’ufficio, è riuscito a firmare fino a quattro permessi in un solo giorno.