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Maxi traffico di cocaina al porto di Salerno: i Memoli e i presunti complici chiedono il rito abbreviato

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Il porto di Salerno

Si è aperto ieri davanti alla terza sezione penale del Tribunale di Salerno il processo a carico dei presunti promotori di un’organizzazione criminale accusata di aver tentato di introdurre nel porto cittadino, nei primi mesi del 2022, circa 650 chilogrammi di cocaina provenienti dal Sud America. Alla sbarra figurano Tiziano e Carmine Memoli, padre e figlio, insieme ad Annamaria Gallo, Mario Cafaro, Antonio Apicella e Luigi Maisto come riportato dal quotidiano Il Mattino oggi in edicola.

Maxi traffico di cocaina al porto di Salerno: chiesto il rito abbreviato

Nel corso della prima udienza dibattimentale, i difensori hanno rinnovato la richiesta di rito abbreviato condizionato, già avanzata in sede di udienza preliminare ma respinta dal gup. Saranno ora i giudici del dibattimento a decidere, nel mese di novembre, se accogliere l’istanza e valutare le prove e i testimoni indicati dalla difesa. Parallelamente, la scorsa settimana, davanti al gup Annamaria Ferraiolo, cinque imputati collegati allo stesso procedimento avevano chiesto di essere giudicati con rito abbreviato secco.

Secondo l’impianto accusatorio, i Memoli avrebbero messo in piedi una struttura capace di gestire autonomamente i canali di approvvigionamento di cocaina dall’estero, trattando direttamente con referenti internazionali. La droga, introdotta attraverso lo scalo marittimo salernitano grazie alla complicità di un autotrasportatore con accesso alle aree portuali, sarebbe stata destinata non solo alle piazze di spaccio locali, ma anche ai mercati illegali di Basilicata e Puglia.

Le indagini avrebbero inoltre documentato traffici paralleli di marijuana e hashish. Tra il dicembre 2020 e il luglio 2021, in piena pandemia, Carmine Memoli si sarebbe occupato personalmente della spedizione di diversi colli contenenti hashish verso la Basilicata, destinati a un referente locale della distribuzione al dettaglio.

Le indagini

Gli inquirenti ritengono che l’organizzazione, oltre a curare i contatti per gli approvvigionamenti internazionali (Spagna per l’hashish, Sud America per la cocaina), si occupasse direttamente delle fasi successive: il confezionamento delle dosi, la preparazione del crack, la distribuzione agli spacciatori e la gestione delle piazze fuori regione. I collaboratori più fidati sarebbero stati legati al gruppo anche da vincoli familiari, elemento che avrebbe garantito coesione e riservatezza.

Il procedimento proseguirà a novembre, quando i giudici saranno chiamati a sciogliere la riserva sulla richiesta di rito abbreviato condizionato. Una decisione che potrebbe incidere in maniera significativa sul percorso processuale e sulle eventuali pene a carico degli imputati.

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