La tragedia di Paolo, il quattordicenne della provincia di Latina che si è tolto la vita dopo essere stato a lungo vittima di bullismo, ha riportato al centro del dibattito pubblico una domanda dolorosa: quanto sono realmente efficaci i protocolli antibullismo nelle scuole italiane? Le norme ci sono, e non poche. Dal 2017, con l’approvazione della legge contro il cyberbullismo, fino al decreto legislativo del 2025 che ha rafforzato la prevenzione e la tutela nelle aule, la cornice giuridica appare chiara e dettagliata. Ogni istituto deve nominare un referente, predisporre procedure di segnalazione, organizzare attività di prevenzione e garantire supporto psicologico. Eppure, la storia di Paolo dimostra che troppo spesso questi strumenti rimangono sulla carta.
I genitori del ragazzo avevano denunciato più volte la situazione, inviando mail e segnalazioni alla scuola, ma quelle richieste sembrano essere rimaste inascoltate. Alcune testimonianze raccontano persino di insegnanti che avrebbero minimizzato episodi gravi, invece di intervenire per fermarli. È in questa distanza tra le regole e la loro concreta applicazione che si consuma la fragilità del sistema. Un protocollo antibullismo, infatti, non può limitarsi a essere un documento burocratico: deve tradursi in azioni tempestive, in capacità di ascolto, in interventi mirati.
Il caso di Latina mette in luce almeno tre nodi cruciali. Le segnalazioni troppo spesso non trovano un seguito adeguato; la formazione degli insegnanti è ancora insufficiente, lasciando molti docenti senza strumenti concreti per riconoscere e gestire situazioni complesse; e il sostegno psicologico resta episodico, affidato a progetti temporanei più che a figure stabili presenti nelle scuole. La conseguenza è che studenti vulnerabili rischiano di sentirsi soli, intrappolati in un silenzio che può diventare fatale.
Eppure non bastano leggi e linee guida: serve una vera cultura della prevenzione. Una scuola che si faccia comunità, capace di costruire relazioni basate sul rispetto e sull’empatia, dove ogni segnale di sofferenza venga accolto e non ignorato. Serve una rete che coinvolga famiglie, docenti, istituzioni locali e studenti stessi, perché il contrasto al bullismo non può essere demandato a un singolo referente ma deve diventare responsabilità condivisa.
La morte di Paolo non è solo un dramma personale, ma anche un fallimento collettivo. Ci ricorda che dietro un ragazzo che abbassa lo sguardo o che tace troppo spesso può esserci un grido d’aiuto. È nostro dovere ascoltarlo, prima che sia troppo tardi.