Riccardo Santimone, 76 anni, ex gommista in pensione, fu ucciso il 5 marzo 2024 dal figlio Vincenzo all’interno dell’abitazione di famiglia nel rione della Pace, a Eboli. A causarne la morte fu una delle 41 coltellate inferte durante l’aggressione, precisamente quella che recise l’aorta. Lo ha confermato ieri in aula, dinanzi alla Corte d’Assise di Salerno (presidente Diograzia, a latere Passaro), la dottoressa Marina D’Aniello, medico legale, chiamata a riferire sull’autopsia eseguita sul corpo della vittima come riportato dal quotidiano Il Mattino oggi in edicola.
Eboli, uccise il padre a coltellate: inflitti 41 fendenti
Durante la sua deposizione, la dottoressa D’Aniello ha fornito una ricostruzione dettagliata della dinamica dell’omicidio, confermando quanto già evidenziato nei risultati autoptici: Riccardo Santimone fu raggiunto da numerosi fendenti, alcuni dei quali inferti mentre era già a terra, in stato agonizzante. Le ferite da difesa riscontrate sulle mani dimostrano che l’uomo tentò disperatamente di proteggersi prima di accasciarsi al suolo, dove fu colpito con maggiore violenza. Il colpo mortale fu inferto al torace e comportò la recisione dell’aorta. Un’ulteriore ferita alla testa, inferta quando la vittima era ormai inerte, ha completato il quadro dell’aggressione.
Rispondendo alle domande dell’avvocato Elena Criscuolo, difensore dell’imputato, il medico legale ha affermato che i colpi sembravano inferti “alla cieca”, ossia senza un bersaglio preciso. Tale elemento, dal punto di vista processuale, potrebbe sostenere la tesi difensiva secondo cui Vincenzo Santimone avrebbe agito in preda a un raptus e non con premeditazione. Il delitto, infatti, secondo quanto riferito dallo stesso imputato, sarebbe scaturito da un momento di improvvisa irritazione generata dal rumore del frullatore acceso dal padre per preparare la cena.
Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Giovanna Pacifico, Vincenzo Santimone ha ammesso le proprie responsabilità, dichiarando di aver reagito in modo incontrollato: «Il rumore era insopportabile», avrebbe detto. Stando alla ricostruzione fornita dagli inquirenti, il 47enne – disoccupato e incensurato – avrebbe afferrato un coltello dalla cucina per poi aggredire il padre. Quest’ultimo tentò di rifugiarsi in bagno, ma fu raggiunto e colpito ancora, fino al colpo fatale.
Dopo l’aggressione, Vincenzo contattò prima il fratello, poi alcuni amici, e infine i carabinieri, ai quali si consegnò. L’uomo era già noto ai servizi sanitari locali per aver avuto in passato contatti con il Dipartimento di salute mentale, anche se non aveva mai intrapreso un percorso terapeutico. Le indagini hanno evidenziato come il 47enne avesse mostrato comportamenti paranoici e manie di persecuzione, mai però sfociati, fino a quel momento, in atti di violenza.