Il Cavaliere Domenico De Rosa (Smet) commenta il voto che ha fatto vacillare la maggioranza Ursula: “Il Green Deal non è sostenibile né per l’industria né per le famiglie. L’Europa produttiva si ribella alla burocrazia di Bruxelles.”
Crisi del Green Deal: De Rosa (Smet) “L’Europa reale si ribella all’ideologia di Bruxelles”
Il recente voto del Parlamento europeo ha segnato un punto di svolta nella politica comunitaria: con 370 voti contrari e 264 favorevoli, una proposta chiave del Green Deal europeo è stata bocciata, incrinando l’asse politico che sosteneva la Commissione Von der Leyen dal 2019. A commentare la portata dell’evento è il Cavaliere Domenico De Rosa, imprenditore e CEO del gruppo Smet, voce tra le più critiche del mondo produttivo nei confronti dell’impostazione ideologica delle politiche ambientali europee.
“La fine di un’illusione”
«È la fine di un’illusione – afferma De Rosa –. Per anni Bruxelles ha costruito un impianto ideologico scambiando la sostenibilità per un dogma. Questo voto ha fatto emergere una verità che gli imprenditori conoscono da tempo: il Green Deal, così com’è, non è sostenibile né per l’industria né per le famiglie». Il cavaliere sottolinea come la bocciatura sia arrivata anche da una parte del Partito Popolare Europeo, segnando una frattura profonda con i gruppi conservatori e riformisti: «È un segnale politico e culturale che mette fine alla cosiddetta “maggioranza Ursula”».
Il nodo del voto europeo
Il provvedimento bocciato riguardava la gestione centralizzata del monitoraggio delle foreste europee, una misura che, secondo De Rosa, avrebbe ulteriormente ridotto la sovranità degli Stati membri in materia ambientale. «La Commissione voleva accentrare i controlli ambientali a Bruxelles – spiega – ma l’aula ha detto no. Si è creata un’inedita convergenza tra EPP, ECR, ID e alcuni deputati dei Renew Europe, stanchi di una politica fatta solo di vincoli e burocrazia».
“Il Green Deal è diventato una macchina di vincoli”
L’imprenditore salernitano denuncia il rischio di una deriva ideologica che penalizza chi produce: «Il Green Deal è diventato una macchina di vincoli: tasse sulle emissioni, restrizioni sulle auto termiche, obblighi per le flotte aziendali, limiti alla produzione agricola e regole forestali che colpiscono chi lavora la terra. Tutto questo ha aumentato i costi energetici, ridotto la competitività e frammentato il tessuto produttivo europeo».
Una frattura politica e industriale
De Rosa individua una spaccatura sempre più evidente tra gli Stati membri: «Da una parte Italia e Germania, che difendono la loro manifattura e chiedono realismo. Dall’altra Francia e Spagna, ancora legate alla linea ideologica della Commissione. Ma la frattura non è solo geografica: è tra chi vive l’industria reale e chi vive di regolamenti. L’Europa produttiva è stanca di decisioni prese nei corridoi di Bruxelles da chi non ha mai firmato una busta paga».
“Transizione sì, ma con realismo”
Pur riconoscendo l’importanza della transizione ecologica, De Rosa ne contesta i metodi: «La transizione è inevitabile, ma non può essere imposta come una penitenza morale. Negli Stati Uniti è guidata dal mercato, in Cina è pianificata per rafforzare l’industria. In Europa è diventata una conversione forzata. Il prezzo è altissimo: aziende chiuse, delocalizzazioni, disoccupazione e perdita di competitività. Non è più sostenibilità, è autolesionismo».









