Alcuni lotti di Coca-Cola, Fanta, Sprite e altre famose bevande analcoliche sono stati ritirati dal mercato in diversi Paesi Europei per presenza elevata di clorato. Ma come può questo composto chimico finire nei prodotti alimentari e quali sono le quantità massime da non superare secondo le linee guida dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).
Coca-Cola, lotti ritirati dal mercato in diversi Paesi Europei
La società belga che si occupa dell’imbottigliamento di Coca-Cola, Fanta, Sprite e altre famose bevande analcoliche ha annunciato il richiamo di alcuni lotti di prodotti in diversi Paesi dell’Unione Europea, tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna. L’Italia non è interessata da questo richiamo. I lotti coinvolti, identificati dai codici di produzione dal 328GE al 338GE, comprendono sia lattine che bottiglie. La motivazione del richiamo è legata a livelli eccessivi di clorato riscontrati durante un controllo di routine sulla sicurezza alimentare. Il clorato è un composto chimico derivante dai disinfettanti a base di cloro, comunemente utilizzati nel trattamento dell’acqua e nella lavorazione degli alimenti. Poiché l’esposizione a questa sostanza può rappresentare un rischio per la salute, i prodotti con concentrazioni superiori ai limiti stabiliti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (ESFA) vengono ritirati dal mercato.
Cos’è il clorato
Il clorato è uno ione del cloro con la formula chimica ClO3. Questo termine si riferisce anche ai composti chimici che lo contengono, come il clorato di potassio e il clorato di sodio. Grazie alle loro proprietà di potenti ossidanti, i clorati erano in passato frequentemente utilizzati in pirotecnica, ma oggi si preferiscono sostanze più sicure e controllabili. Il clorato presente nelle lattine di Coca-Cola e in altre bevande è un sottoprodotto dei disinfettanti impiegati per il trattamento dell’acqua potabile. Questi disinfettanti vengono utilizzati anche per la sanificazione delle attrezzature necessarie alla lavorazione. Tra i disinfettanti comunemente usati in ambito industriale ci sono il biossido di cloro e l’ipoclorito di sodio, entrambi in grado di rilasciare clorato durante i processi di disinfezione.
Questa sostanza è stata identificata negli alimenti per la prima volta nel 2014, come indicato dall’Unione Europea. L’anno successivo, l’EFSA ha rilevato che le concentrazioni di clorato presenti nell’acqua potabile e nei prodotti alimentari erano significative e potevano influire sulla salute, in particolare quella dei bambini. Di conseguenza, sono state implementate rigorose misure di controllo per garantire che i livelli di clorato negli alimenti e nell’acqua non superino i limiti stabiliti dall’UE. In passato, il clorato era utilizzato come pesticida, ma attualmente non è più autorizzato come tale nell’Unione Europea. Pertanto, per i prodotti alimentari, si fa riferimento alla legislazione sui livelli massimi di residui (LMR), in particolare al regolamento (CE) 396/2005, che stabilisce che le concentrazioni di clorato non devono superare 0,01 mg/kg.
I pericoli del clorato per la salute e i livelli consigliati
Il clorato è considerato nocivo per la salute poiché può ostacolare l’assorbimento dello iodio, compromettendo così il corretto funzionamento della tiroide. I rischi sono particolarmente elevati per bambini e neonati che presentano carenze di iodio, un elemento essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei, come la tiroxina, che sono cruciali per lo sviluppo, la crescita e i processi metabolici. Inoltre, concentrazioni elevate di questo composto possono influenzare negativamente la funzionalità dell’emoglobina e provocare insufficienza renale.
In considerazione di tali rischi, l’ESFA ha stabilito delle soglie di sicurezza per l’esposizione cronica (prolungata nel tempo) e acuta, quest’ultima riferita a un periodo di un giorno. La principale fonte di esposizione al clorato è rappresentata dall’acqua potabile, che contribuisce per il 60%, ma anche altri alimenti possono essere coinvolti, in particolare frutta e verdura, soprattutto quelle congelate. Per quanto riguarda l’esposizione cronica, l’ESFA ha fissato una dose giornaliera tollerabile (TDI) di 3 microgrammi per kg (µg/kg) di peso corporeo. Per l’esposizione acuta, la dose stabilita è di 36 µg/kg di peso corporeo al giorno. Tuttavia, l’ESFA considera improbabile che l’esposizione derivante dall’acqua potabile e dai prodotti alimentari superi le soglie di sicurezza, adottando sempre un approccio precauzionale.