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Clan Fezza-De Vivo: sentenza d’appello ribalta alcune condanne, quattro assoluzioni e pene ridotte

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La Cittadella Giudiziaria di Salerno

Si è chiuso con un verdetto misto il processo d’appello sul presunto sistema criminale riconducibile al clan Fezza-De Vivo, attivo a Pagani e nei comuni limitrofi. Dopo l’impugnazione della sentenza di primo grado da parte della Direzione Distrettuale Antimafia, la Corte d’Appello ha emesso nove condanne – molte delle quali con pene ridotte – e quattro assoluzioni come riportato dal quotidiano Il Mattino oggi in edicola.

Clan Fezza-De Vivo: sentenza d’appello ribalta alcune condanne

Tra i prosciolti figurano Giuseppe De Vivo (classe 1987), Aniello D’Auria, Luciano Solferino Tiano e Brunone Tagliamonte. I primi tre erano accusati di aver partecipato a un episodio estorsivo ai danni del titolare di una società di autonoleggio di Nocera Superiore. Il quarto, invece, era imputato per presunto supporto contabile ad Alfonso Marrazzo, imprenditore ritenuto vicino al clan. Per tutti, i giudici hanno ribaltato la precedente decisione, pronunciando l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.

Altri imputati hanno visto una riduzione delle pene. Tra questi, Emanuele Amarante (condannato a 10 anni e 9 mesi), Giuseppe Attianese (10 anni e 10 mesi), Daniele Confessore (22 anni e 8 mesi), Andrea De Vivo (24 anni e 2 mesi), Francesco Fezza (24 anni) e Nicola Francese (12 anni e 6 mesi). Per loro, la Corte ha riformato in parte il verdetto di primo grado, pur confermando la sussistenza dei reati contestati.

Restano invece invariate le condanne nei confronti di Alfonso Marrazzo, ritenuto al vertice dell’impresa Pedema, azienda considerata in rapporti con l’organizzazione, di Giuseppe De Vivo (classe 1979) e Gennaro Marra. Le pene, in questi casi, andavano dai 4 ai 10 anni di reclusione. L’appello è stato giudicato inammissibile o rigettato, a seconda delle posizioni processuali.

Confermate anche le assoluzioni per Vincenzo Villani, mentre per Carlo Fiore e Rosario Capozzolo è stato ribadito il non luogo a procedere.

L’inchiesta, sviluppata tra il 2019 e il 2021, ha documentato la struttura e l’operatività del gruppo Fezza-De Vivo, descritto dalla DDA come una consorteria camorristica radicata nel territorio dell’Agro. Secondo quanto emerso in aula, il clan avrebbe stretto alleanze con il gruppo guidato da Rosario Giugliano, detto “’o minorenne”, ex sicario della Nuova Famiglia poi divenuto collaboratore di giustizia. Le sue dichiarazioni hanno costituito uno snodo centrale del processo, fornendo – secondo i giudici di primo grado – “un dettagliato organigramma del clan, con ruoli, gerarchie e dinamiche interne”.

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