La Lega, guidata da Matteo Salvini, propone un permesso di soggiorno a punti per i minori stranieri. Dubbi etici e legali sul rischio di esclusione dei più fragili. Il meccanismo prevederebbe l’attribuzione di un punteggio iniziale ai ragazzi a partire dai 14 anni, punteggio che potrebbe aumentare o diminuire in base a criteri come la frequenza scolastica, la partecipazione a corsi di lingua italiana e il comportamento personale.
Permesso di soggiorno a punti per minori stranieri: la proposta della Lega tra diritti e criticità
La Lega, guidata da Matteo Salvini, sta lavorando a un disegno di legge che introdurrebbe un sistema a punti per il permesso di soggiorno dei minori stranieri, ispirato a quello già pensato per gli adulti. L’obiettivo dichiarato è quello di incentivare integrazione e responsabilità, ma la misura solleva numerose perplessità etiche e pratiche, soprattutto per i giovani più vulnerabili o privi di sostegno familiare.
Il meccanismo prevederebbe l’attribuzione di un punteggio iniziale ai ragazzi a partire dai 14 anni, punteggio che potrebbe aumentare o diminuire in base a criteri come la frequenza scolastica, la partecipazione a corsi di lingua italiana e il comportamento personale. Condotte scorrette o mancato rispetto delle regole comporterebbero la perdita di punti. Se il punteggio scendesse a zero, il permesso di soggiorno verrebbe revocato, con conseguente espulsione dal territorio italiano.
L’idea riprende una norma varata nel 2009 durante il mandato di Roberto Maroni al Viminale, relativa all’“accordo di integrazione”, mai pienamente attuata e con risultati limitati. Ora la Lega punta a rendere il sistema più esteso e rigido, applicandolo anche a chi arriva in Italia per ricongiungimento familiare.
La situazione dei minori stranieri in Italia
I minorenni stranieri, specialmente i non accompagnati, godono oggi di una tutela rafforzata in linea con le convenzioni internazionali. Hanno diritto a accoglienza, istruzione, assistenza sanitaria e percorsi di integrazione sociale. Tuttavia, molti di loro vivono situazioni di estrema fragilità: lontani dalle famiglie, ospitati in comunità, privi di una rete di sostegno stabile. Con il raggiungimento della maggiore età, inoltre, le tutele cessano bruscamente, esponendoli al rischio di esclusione e precarietà.
Il ruolo della scuola
Nel modello ipotizzato, la scuola diventerebbe il fulcro del sistema: presenze, rendimento e condotta influirebbero direttamente sul permesso di soggiorno. Un cambiamento che trasformerebbe l’ambiente educativo in un luogo di controllo, imponendo a docenti e operatori il compito di valutare anche l’integrazione e il comportamento degli studenti, con segnalazioni che potrebbero avere ripercussioni decisive sulla vita dei ragazzi.
I rischi del modello
Applicare un sistema a punti a giovani di 14 o 15 anni, spesso segnati da traumi, difficoltà linguistiche o psicologiche, significa sottoporli a una valutazione continua del loro valore sociale. Il diritto a restare in Italia diventerebbe condizionato al rendimento, e ogni errore potrebbe costare caro.
Un ragazzo che vive lontano dai mezzi pubblici e fatica a raggiungere la scuola, o una giovane che affronta disturbi emotivi dopo un viaggio difficile, rischierebbero di perdere punti per circostanze fuori dal loro controllo. Per molti, la pressione di mantenere un “punteggio positivo” potrebbe diventare insostenibile.
I principi della Convenzione ONU
Sul piano giuridico, la proposta solleva seri dubbi di compatibilità con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, che impone di tutelare l’interesse superiore del minore in ogni decisione che lo riguarda, garantendo protezione, istruzione e non discriminazione a prescindere dallo status giuridico. Subordinare tali diritti a un punteggio rischia di trasformare tutele fondamentali in premi condizionati.
Un equilibrio difficile
Il rispetto delle regole è un valore imprescindibile, ma quando si parla di adolescenti fragili e senza sostegni familiari, il controllo non può sostituire il sostegno educativo e sociale. Gli esperti avvertono che l’inclusione non si costruisce con logiche punitive, ma con investimenti in istruzione, mediazione culturale e accompagnamento individuale. La proposta della Lega riaccende quindi il dibattito su un nodo cruciale: come conciliare sicurezza e integrazione senza escludere i più deboli. Una risposta che non può arrivare solo da nuove regole, ma da politiche più umane e lungimiranti per i minori stranieri.