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Eboli, da 8 anni senza una tomba: il caso Atoucha e il vuoto della burocrazia

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Foto di repertorio

Da otto anni a Eboli la sepoltura di Fatna Atoucha è sospesa, simbolo silenzioso di una vicenda che intreccia diritti civili, libertà religiosa e paralisi istituzionale. Morta nel 2017 all’età di 66 anni, dopo una vita trascorsa in Italia tra lavoro e famiglia, Fatna riposa in un loculo provvisorio, in attesa che venga completata la tomba secondo il rito islamico, come desiderato dai suoi familiari. Ma la conclusione di questo gesto di pietà è rimasta bloccata da una lunga trafila burocratica e da decisioni mai assunte in modo definitivo come riportato dal quotidiano La Città.

Eboli, da 8 anni senza una tomba: il caso Atoucha

Originaria del Marocco, Fatna Atoucha era arrivata in Italia negli anni ’80 insieme al marito Mohamed Chakir, stabilendosi nel Salernitano. Qui la coppia ha cresciuto i figli, integrandosi nella comunità e rispettando pienamente le leggi italiane, senza mai rinunciare ai valori religiosi e culturali del proprio Paese d’origine. Quando Fatna è venuta a mancare, la famiglia ha chiesto che le venisse riservato un luogo di sepoltura conforme alla tradizione islamica, come previsto anche dalla normativa nazionale e dai regolamenti comunali in materia di pluralismo confessionale.

Tuttavia, ciò che sulla carta sarebbe dovuto essere un diritto riconosciuto, si è trasformato in un percorso ad ostacoli. La realizzazione del sepolcro, autorizzata solo parzialmente, è stata più volte rinviata, ostacolata da cavilli amministrativi, pareri discordanti e mancate assunzioni di responsabilità da parte delle autorità competenti. Il risultato è che, dopo quasi un decennio, il luogo destinato a diventare il riposo eterno di Fatna resta incompleto, in una sorta di limbo che colpisce profondamente la dignità della persona e dei suoi cari.

«Non chiediamo privilegi, ma il rispetto di un diritto riconosciuto», ribadisce da anni la famiglia, che nel frattempo ha mantenuto un comportamento improntato alla discrezione, senza clamori né proteste, nella speranza che la questione si potesse risolvere nel silenzio del dolore. E invece oggi la loro vicenda diventa un caso emblematico: di una burocrazia che rallenta anche davanti alla morte, e di una politica spesso incapace di assumere decisioni nette quando si tratta di pluralismo culturale e religioso.

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